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Le principali invenzioni di Guglielmo Marconi e l’invenzione del telefono di Antonio Meucci

Guglielmo Marconi nasce il 25 aprile 1874 a Bologna e muore il 20 luglio 1937 a Roma.  Era uno scienziato inventore che vinse il premio Nobel per la Fisica.  Figlio di un benestante agricoltore emiliano e di una giovane irlandese non seguì regolari corsi di studi.  Marconi frequentò l’Istituto Nazionale di Livorno e in quegli anni si interessò all’elettrotecnica, materia che approfondì con il professore di fisica di un Liceo di Livorno, Vincenzo Rosa, grazie al quale poteva frequentare i laboratori di fisica pur non essendo studente di quella scuola.  Qui imparò a valutare le caratteristiche dei componenti di un circuito e sperimentò l’utilizzo del coherer, rivelatore di onde elettromagnetiche.  Stimolato dalla lettura di un articolo commemorativo del fisico H. R. Hertz, lavorò sulle onde hertziane, costruendo un ingegnoso rivelatore di fulmini.  Se è vero che i fulmini sono scariche elettriche, è altrettanto vero che essi generano onde elettromagnetiche poderose.  Così, collegando un’antenna a un coherer, e questa ad un campanello elettrico, Marconi constatò che ogni volta che scoccava un fulmine la suoneria entrava in funzione.  Il coherer (o coesore) era un tubo di vetro contenente polvere metallica, disposte alla rinfusa e quindi non conduttrici di elettricità.  Al passaggio delle onde elettromagnetiche le particelle metalliche si aggregavano in strutture ordinate lasciando passare la corrente elettrica di un eventuale circuito, come appunto quello del campanello elettrico.  Ossessionato dall’idea di utilizzare le onde hertziane per inviare e ricevere a distanza segnali senza più necessità di collegamenti via cavo, Marconi si impegnò in ingegnosi esperimenti (1894-95); ottenne di poter essere ascoltato da Augusto Righi, uno dei maggiori esperti in materia di fenomeni elettromagnetici.  Tuttavia, per Righi e i suoi colleghi l’idea della “telegrafia senza fili” non aveva né senso scientifico, né utilità pratica.  Dal momento che le onde elettromagnetiche si propagano in linea retta e sono bloccate dagli ostacoli quali i muri del laboratorio, com’era possibile pensare di poter superare colline e montagne e ancor più la curvatura della terra?  I fisici allora non sospettavano l’esistenza della ionosfera che circonda il nostro pianeta e riflette le radiazioni elettromagnetiche con ogni angolo verso la superficie del globo.  Non lo sapeva nemmeno Marconi, ma egli si fidava dei risultati dei suoi esperimenti più che delle teorie.  I segnali fra il trasmettitore e il ricevitore mobile arrivavano regolarmente sebbene una collina fosse interposta fra di essi: la radiotelegrafia era nata.

Per questa impresa Marconi aveva anche realizzato la sua prima invenzione: il sistema antenna-terra, in cui sia l’oscillatore, sia il rivelatore erano collegati ad una estremità a un conduttore sepolto sottoterra e all’altra estremità a un conduttore innalzato nell’aria.  Marconi si rivolse al Ministro delle Poste e Telegrafi per ampliare la sperimentazione.  Gli fu risposto che la sua invenzione non aveva interesse per le telecomunicazioni.  Ciò che non ottenne in Italia ebbe in Inghilterra, dove fu ricevuto dal direttore del servizio telegrafico britannico.  Questi capì immediatamente l’importanza dell’invenzione e gli fornì i mezzi necessari per ulteriori esperimenti.  Quando Marconi brevettò la sua invenzione (1896), un gruppo di finanziatori gli offrì di comprarla.  Marconi non solo rifiutò ma ottenne di poter creare un’azienda nella quale il suo brevetto valeva il 51% del valore della società.  Aveva capito che senza un’industria ad hoc alle spalle la radiotelegrafia non avrebbe avuto futuro: nacque così la Wireless Signal Limited.  La radiotelegrafia apparve subito più interessante per le comunicazioni in mare.  Il lavoro di Marconi in proposito fu enorme: dopo i primi, rudimentali apparecchi, egli ne inventò di sempre più sofisticati.  Il coherer fu sostituito dal detector magnetico, anch’esso inventato da Marconi, che mise anche a punto il collegamento fra il sistema radiotelegrafico e una macchina Morse scrivente e creò in seguito il sistema di trasmissioni multiple senza interferenze reciproche, nonché tutti gli altri strumenti che permisero alla radio di svilupparsi e di diffondersi.

Marconi fu anche tra gli iniziatori delle “multinazionali”; infatti, dopo la sua prima compagnia inglese egli creò società marconiane in molte altre nazioni.  Nel 1901 alle 12:30 del 12 dicembre, realizzò la prima trasmissione radiotelegrafica attraverso l’Atlantico.  Nel corso della prima guerra mondiale Marconi inventò le trasmissioni a fascio a onde corte; creò ricetrasmittenti per le navi e gli aerei, e per le operazioni di terra.  A conclusione della guerra Marconi acquistò un panfilo, l’Elettra, e ne fece il suo laboratorio galleggiante, grazie al quale condusse gli esperimenti che portarono alla scoperta della ionosfera e delle sue perturbazioni per effetto dell’attività solare nonché a completo sviluppo delle radiocomunicazioni.  Fu senatore del Regno e Presidente dell’Accademia d’Italia e primo presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche.  Circondato da fama e ammirazione in ogni parte del globo, Marconi fu insignito delle più prestigiose onorificenze e delle lauree honoris causa delle più famose Università.  Il premio Nobel per la Fisica gli fu assegnato nel 1909.

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Marconi allestì un laboratorio nella casa paterna a villa Griffone a Bologna per fare i suoi esperimenti, in cui ora c’è il museo dedicato a lui con molti dispositivi di vari scienziati da far vedere. L’elettroforo fu inventato da Alessandro Volta nel 1775, secondo lui, l’elettroforo forniva un’utile alternativa alle macchine elettrostatiche in quanto una volta strofinata la schiacciata bastava alzare ed abbassare lo scudo per ottenere cariche elettriche. Per questo motivo, Volta riteneva che l’elettroforo fosse una macchina perpetua. Il principio di funzionamento dell’elettroforo è l’induzione elettrostatica. Altro dispositivo è la bottiglia di Leida, la quale è un condensatore cilindrico. Era il 1745 e, secondo le teorie elettriche accettate al tempo, i fenomeni di attrazione e repulsione elettrostatica erano dovuto al moto di un fluido elettrico che poteva essere trasportato da metalli e soluzioni acquose e conservato in recipienti di vetro.  Bastava porre un bastoncino metallico all’interno di una bottiglia piena d’acqua perché l’elettricità vi è entrasse, prestando però attenzione a porre la bottiglia su un materiale isolante per evitare che il fluido elettrico scivolasse via, attraverso un conduttore, verso la terra.  Consentendo di accumulare grosse quantità di elettricità la bottiglia di Leida divenne uno strumento fondamentale della scienza elettrica, impiegata sia per produrre grosse scintille, che per somministrare forti scosse a scopo terapeutico.  Altro esperimento di Volta fu la pila, uno strumento per illustrare come il contatto tra metalli diversi potesse generare scosse elettriche.  Volta mise in evidenza, che era in grado di fornire scosse continue senza dover essere caricato, a differenza delle altre macchine elettriche.  Attorno al 1830 si verificò una corsa al telegrafo elettrico e ad imporsi tra i diversi sistemi ideati, fu la tecnica dell’americano Samuel Morse, sebbene il suo telegrafo brevettato negli Stati Uniti nel 1838 non fu il primo telegrafo elettrico.  Le due caratteristiche principali del sistema Morse erano la codificazione (secondo l’alfabeto Morse) e la memorizzazione su carta.  Questo permise una comunicazione rapida e documentata.

Ma è Antonio Meucci considerato a tutti gli effetti l’inventore del telefono. Nel 1871 ha brevettato un apparecchio, chiamato telettrofono, che permetteva di comunicare a distanza. Già nel 1854 Meucci aveva costruito il primo prototipo di telefono ma a causa delle precarie condizioni economiche, non era riuscito a brevettarlo. Nel 1871 ha fondato, insieme ad altri finanziatori italiani, la Telettrofono Company, ma è riuscito ad ottenere per la sua invenzione soltanto un brevetto temporaneo, che doveva essere rinnovato ogni anno al prezzo di 10 dollari. Meucci riuscì a rinnovarlo solo per 2 anni, fino al 1873. Per ottenere un brevetto standard avrebbe dovuto pagare 287 dollari. Il 7 marzo 1876, invece, Alexander Graham Bell, che probabilmente aveva visto il progetto di Meucci, depositò il brevetto, attribuendosi così la paternità del telefono. Soltanto l’11 giugno 2002 il Congresso degli Stati Uniti ha riconosciuto il contributo di Meucci nell’invenzione del telefono.



Proprio 100 anni fa, nel 1921 venne fondata in ITALIA la Società Italiana Reti Telefoniche Interurbane (SIRTI) per la posa dei cavi di collegamento extraurbani. Bisogna aspettare, però, il 1952 per vedere impiantata la prima cabina telefonica d’Italia, in piazza San Babila a Milano. Nel 1992 si stabilì il riassetto delle telecomunicazioni e la famosa SIP diventa TELECOM ITALIA, oggi TIM.

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