L’intervista a Chiara Manzi sul libro FOOD HEROES di Fabio Bongiorni!

Laureata in Nutrizione Umana e Dietetica nel 1993 presso l’Università di Navarra in Spagna, la dottoressa Manzi si è formata in Nutrizione Antiaging alla Tufts University di Boston.
Dal 2009 è Presidente dell’Associazione per la Sicurezza Nutrizionale in Cucina, nel cui comitato scientifico spicca la collaborazione con lo Chef. Massimo Bottura (3 stelle Michelin ed è il miglior cuoco al mondo dal 2016).
Nel 2012 fonda Cucina Evolution Academy, l’Accademia Europea di Nutrizione Culinaria (link www.culinarynutrition.it)
Docente di Culinary Nutrition e Cucina Antiaging presso l’Università di Milano Bicocca, Ricercatrice in collaborazione con l‘Università di Parma, è esperta di riferimento del corso di Medicina Culinaria dell’Università di Ferrara.
Ha pubblicato diversi testi di nutrizione e nel 2019 ha aperto LIBRA CUCINA EVOLUTION il primo Ristorante al Mondo di Antiaging Italian Food. Si trova a Bologna in Via Testoni 10 a pochi passi da Piazza Maggiore

fonte: stralci dell’intervista a Chiara Manzi pubblicata sul Libro Food Heroes di Fabio Bongiorni (anno edizione 2022, pubblicato da SAGEP)

Ciao Chiara, volevo partire, un po’ come faccio con tutti, dagli inizi. Come dico sempre, c’è sempre una scintilla, un qualcosa che nella storia personale e professionale legata al mondo del cibo, ha portato ad incominciare un percorso. Leggendo la tua biografia, ho trovato una citazione sul fatto che avessi il colesterolo alto e quindi fossi partita da te stessa per studiare a fare ricerca.

Si, quando da studentessa universitaria ho iniziato a fare i tirocini e ho chiesto se potevo fare le analisi del sangue per impostare una dieta per me stessa, immagina il mio stupore nel leggere i risultati delle analisi: a vent’anni avevo 300 di colesterolo, un valore incredibile che mi sembrava assurdo al punto da chiedere ai laboratori dell’università di ripetere gli esami. Credevo ci fosse stato un problema e invece gli esami confermarono un valore di 297, quindi di poco inferiore ai risultati precedenti. Io mi sono laureata in Nutrizione Umana all’estero e chiamai spaventata mia mamma per riferire tutto ciò, con grande tranquillità e superficialità, mi rispose di non preoccuparmi perché tutti in famiglia avevano il colesterolo alto. In famiglia nessuno ne aveva parlato, nessuno si preoccupava di mangiare in un certo modo per ridurre il colesterolo, nessuno prendeva medicine. Mia mamma mi disse alla romana: “Nun te preoccupà, nonna ha 500 di colesterolo!”. Io studiavo Nutrizione all’Università e non vedevo l’ora di fare una dieta a qualcuno. Ecco che trovai la mia prima paziente: ero io! volevo dimostrare a me stessa di essere una brava professionista, di essere capace di abbassare il colesterolo familiare solo con la dieta.

Cosa mangiavi tu per avere il colesterolo a 300?

Il colesterolo era alto non perché mangiassi in modo tanto diverso da come mangiamo tutti, anzi, cercavo di mangiare sano. Il mio colesterolo l’avevo a 300 perché era geneticamente familiare, il mio fegato produce una quantità esorbitante di colesterolo, a prescindere da quello che mangio. Certo, se mangio peggio si alza ancora di più, se mangio meglio riesco a mantenerlo a livelli diciamo ancora accettabili. Basso non ce l’avrò mai, però oggi con l’alimentazione l’ho riportato abbastanza alla normalità. Quando iniziai l’università, iniziai le diete che molti di noi fanno, ovvero zero formaggi, zero burro, zero salumi, zero dolci, zero fritti. In pratica uno strazio! Si, il colesterolo si abbassava, però di notte sognavo montagne di profitterol. In dieci o quindici anni dai primi risultati degli esami medici, facevo un continuo yo yo, tenevo duro fino al momento di fare le analisi del sangue per dimostrare di essere una brava nutrizionista, dopodiché mi tuffavo nelle cose che mi piacevano: le pizze, dolci e i fritti in primis.

Ma tu sei una persona golosa?

Si, io adoro e ho proprio bisogno del dolce, senza di quello non vivo. Ti puoi immaginare la sofferenza di stare sempre a dieta. Le diete funzionano per abbassare il colesterolo, ma uno su mille ce la fa a rinunciare tutti i giorni alle cose che più ci piacciono, che ti danno soddisfazione, gioia. Ma possiamo diventare infelici per avere il colesterolo nei limiti?

Quindi hai iniziato a studiare su stessa e cosa hai capito?

Dopo quindici anni di dieta ebbi una grande crisi, perché così non riuscivo ad andare avanti. Ero nervosa, ero negativa e vedevo che questa era una sofferenza forte dato che quando mangiavo cibi che mi piacevano stavo male perché mi sentivo in colpa, quando facevo la dieta soffrivo perché desideravo  alimenti che mi piacevano. Io poi ho un grande amore per la cucina tradizionale italiana, che oggi vede nella nutrizione un nemico pazzesco perché noi vediamo tutti i “bollini rossi”, i nutri-score negativi sui prodotti italiani (perché sono grassi, perché sono salati) e quindi anche il Made in Italy, che, in questo momento è in crisi per colpa del mondo della nutrizione.

Nella famosa dieta mediterranea l’Italia dovrebbe esprimere una cucina sana, invece c’è questo pregiudizio che avevo già colto rispetto alla cucina tradizionale. Perché questa contraddizione?

Questa contraddizione nasce dal fatto che molti non sappiano cosa voglia dire “dieta mediterranea”, una persona pensa che dieta mediterranea equivalga a dire lasagne, pasta asciutta, pizza e invece dieta mediterranea comprende i carboidrati, però uniti a tantissime fibre. Oggi i piatti della tradizione si fanno con la pasta bianca, io sono romana e non riesco a pensare ad una carbonara integrale o senza guanciale, nessuno a Roma la mangerebbe. Eppure, la carbonara era compresa nella dieta mediterranea perché si mangiava “una volta ogni morte di papa” e magari era l’unico pasto del giorno. Quindi era destinata ad una popolazione che comunque faceva uno stile di vita faticoso, doveva ripararsi dal freddo non avendo il riscaldamento e che quindi aveva bisogno di tante energie. Oggi la dieta mediterranea significa tante fibre, legumi, verdure e pochissimi condimenti. Anche l’olio extravergine d’oliva non può far navigare il cibo e deve essere inserito in piccolissime quantità, un adulto dovrebbe mangiare intorno ai settanta grammi al giorno di grassi, ma in questi settanta grammi dovrebbero esserci anche le uova, il formaggio, le acciughe, le olive, ovvero tutti gli ingredienti, non solo quello di condimento. La dieta mediterranea prevede una riduzione molto drastica del sale, rispetto alle ricette che noi facciamo normalmente nella cucina italiana. La nostra cucina deve diventare mediterranea riducendo i grassi ed il sale, aumentando il consumo di fibre, polifenoli, omega 3, quindi tutto il mondo delle verdure. In pratica, il mio lavoro è quello di modificare le ricette della tradizione italiana senza assolutamente privarla degli ingredienti tipici. Per dire, la carbonara deve avere il tuorlo, il guanciale ed il pecorino: deve rispondere alla tradizione. Per fare ciò, cambio il metodo di preparazione, inserisco delle fibre prebiotiche bianche che non hanno sapore e non sono visibili.

Come arrivi al concetto di nutrizione culinaria? Immagino sia questa la chiave di innovazione del tuo lavoro.

Sono partita da un problema da risolvere. La soluzione me la fece venire in mente una mia paziente. Io lavoravo in diabetologia all’Ospedale Sandro Pertini di Roma e incontravo tutti i giorni molti pazienti diabetici. Alla fine di un incontro di gruppo, in cui ognuno raccontava che cosa aveva mangiato, come aveva cucinato, come era andata la glicemia, venne da me una delle pazienti e quasi piangendo, supplicando mi chiese di non toglierle il piatto di lasagne, ma di consigliarle come cucinarla perché senza le lasagne diventava triste. Questa paziente mi fece uscire dallo schema “lasagna no” e “pasta integrale si” e cercai di modificare la ricetta per rispondere alla richiesta di questa signora, fornirle la ricetta giusta per il suo diabete. Pensai che se fossi riuscita a modificare le ricette senza cambiare il suo gusto, avrei risolto anche il mio problema. Avrei abbassato il colesterolo mangiando la carbonara, mangiando dolci e fritti. Allora da quel momento iniziai a cercare l’esistenza di una scienza che lavorasse sulla modifica delle ricette. Scopri, andando negli Stati Uniti per specializzarmi in “nutrizione antiaging”, che esisteva la Culinary Nutrition, una scienza che è sorta nel 1999 nella Johnson & Wales University. L’Università non era tanto distante da me poiché era molto vicina a New York, e allora chiesi un appuntamento. Andai lì e scoprii l’esistenza di questa scienza che era insegnata in tantissimi Atenei. In Europa e nel resto del mondo non era assolutamente presente. A quel punto, portai questa scienza in Europa e in particolare in Italia, perché credo che la cucina tradizionale italiana debba essere il faro di tutte le cucine.

Quindi hai fondato Cucina Evolution Academy, prima e unica Accademia in Europa sulla Culinary Nutrition, che gode del patrocinio del Ministero della Salute. Il nocciolo di questa scienza è proprio quello di mantenere le ricette originali, cambiando che cosa esattamente? Fammi alcuni esempi, giusto per capire meglio.

Il nocciolo di questa scienza è quello di studiare come variano i nutrienti e il loro effetto sulla salute della persona, a seconda di come il cibo venga cucinato. Ti faccio un esempio: nella carota cruda il carotenoide è top, ma se io la carola la friggo, la stufo, la faccio al vapore cosa accade a quei carotenoidi? Se io la carota la condisco con l’olio, qual è la differenza a livello di effetti benefici sulla mia salute, per quanto riguarda la percentuale di carotenoidi assimilati a livello intestinale? Questo è quello che studia la nutrizione culinaria. Diverso è il discorso di Cucina Evolution, metodo che ho inventato io, il cui utilizza le conoscenze della nutrizione culinaria per lavorare sulle ricette della tradizione italiana. Negli Stati Uniti loro non lavorano sulle ricette grasse e caloriche, loro usano queste conoscenze per creare delle ricette healthy, ricette sane che però ti stufano. La grande sfida che abbiamo voluto fare io e mio marito è stata quella di aprire un ristorante nel 2018, perché un conto è scrivere libri di ricette, fare conferenze e andare ai congressi e un conto è aprire un ristorante e avere il contatto diretto con le persone che giudicano i piatti, che si alzano da tavola leggeri, che ti riferiscono se sono diabetici e che dopo aver mangiato la glicemia non si è alzata. Per questo motivo, abbiamo accettato questa grande sfida che oggi si è concretizzata nel primo food delivery certificato per la sicurezza nutrizionale, perché noi spediamo i nostri piatti antiaging in tutta Europa in ventiquattro ore e ci siamo inventati una start up innovativa. Noi siamo a Bologna, quindi non siamo a Milano nel quadrilatero della moda dove sono tutti fissati con la dieta, siamo nella patria della cucina grassa. Essendo tu ligure, sappi che abbiamo appena riformulato la Focaccia al formaggio!

Prima di arrivare al ristorante, so che ci sono stati due ambiti molto interessati su cui hai lavorato. Il primo riguarda la formazione di tutti i cuochi della ristorazione collettiva. Pensiamo alle mense scolastiche, in cui si può incidere molto sulle abitudini alimentari.

Il mondo della ristorazione collettiva è un mondo importantissimo perché chi va a scuola o al lavoro, mangia obbligatoriamente in quella determinata mensa, non la sceglie. E’ un mondo che ha il dovere di offrire una cucina salutare ai propri clienti. E’ una grande sfida perché se pensiamo a quanto viene pagato un pasto alla ristorazione collettiva, garantire qualità non è così facile. Io sono molto contenta quando lavoro con Massimo Bottura o con altri chef stellati, però sono molto più contenta quando lavoro con la ristorazione collettiva e quando riesco a fare un lavoro davvero serio. Si può fare, io l’ho realizzato. Ho seguito ad esempio l’azienda Pellegrini S.P.A per tantissimi anni, occupandomi della formazione dei loro cuochi e della selezione degli ingredienti, obbligando i loro fornitori a cambiare le formulazioni delle ricette quando erano troppo salate, grasse e controllando questi fornitori. Io do un marchio di certificazione, questo non è un bollino, ma un controllo. Noi andiamo a controllare che tutti i fornitori mettano nel barattolo quello che dichiarano in etichetta. Andiamo a fare cultura, ai cuochi, agli imprenditori e ai produttori.

Tu hai lavorato con Bottura, hai fatto i progetti con Montersino e con altri stellati, qual è l’interesse dello chef del ristorante stellato che è sempre portato ad elaborare il piatto eccellente in quanto a ricercatezza ed estetica, però dal punto di vista nutrizionale, qual è l’obiettivo di un lavoro fatto con uno chef stellato?

Dal punto di vista nutrizionale, l’obiettivo è il cambio di mentalità. Lo chef stellato con cui io lavoro bene è quello che si specializza con un master in nutrizione culinaria, si mette dietro al banco, studia e cambia la propria testa. Lo chef stellato che esce dai nostri corsi riferisce che prima, quando creava il piatto andava di creatività, ora prima studia nutrizionalmente la ricetta, fa il calcolo dei nutrienti e solo dopo, sapendo di avere quei parametri, scatena la sua creatività, rimanendo all’interno di quei parametri. Prima magari ci metteva un po’ di zenzero, un po’ di curcuma e usciva un piatto healthy (la solita pennellata esterna che poi alla fine non ha sostanza). Ora molti chef hanno cambiato mentalità perché innanzitutto hanno visto un beneficio per la loro salute. Se ci pensi, chi trova piacere nell’alzarsi da tavola appesantito? Nessuno. Il problema è che si pensa che per mangiare bene, buono e goloso, ci sia questo “conto” da pagare per forza. Quando ti alzi da tavola di uno chef stellato, ti alzi felice ma distrutto perché sono stati utilizzati una quantità di grassi enormi in quelle piccole porzioni che ti propongono. Io mi sono trasferita a Parma perché Gualtiero Marchesi, quando aprì la sua scuola di cucina ALMA, mi chiese di affiancarlo a capo dell’area nutrizione nella sua Accademia. Io accettai e vi rimasi per otto anni. In quegli anni ho letto le tesi di tutti i ragazzi che andavano a fare gli stage prima di fare la tesi. Al ritorno dello stage, mi portavano tutti i menù dei ristoranti stellati. Tutti questi chef, compreso Pietro Leemann, utilizzavano una quantità di grassi e di calorie incredibile, ma se erano vegani sembravano salutari. Grassi, sale, zucchero: una cosa paurosa!

Quando e come è arrivata la notorietà, i libri, i social, insomma la tua grande visibilità?

Non lo so, io penso che quando qualcuno insegue un sogno, e tutti i giorni dalla mattina alla sera si dà da fare per realizzarlo e risolve efficacemente i problemi della gente, la notorietà arriva tramite il passaparola, arriva come uno tsunami perché pensa di poter essere conosciuta per quelli che sono i risultati sulla vita delle persone. La gente con Cucina Evolution ha perso tutti i chili che aveva di troppo; ci sono persone che hanno perso anche cinquanta chili, mangiando comunque dolci, pizza. Ci sono soggetti diabetici che avevano dovuto eliminare dolci, che oggi mangiano dolci tutti i giorni. Ci sono persone, che come me, avevano il colesterolo alle stelle e mangiando la carbonara e l’amatriciana l’hanno abbassato senza medicine. Ti ringrazio, ma non penso di essere particolarmente famosa.

Ti faccio una provocazione. E’ un po’ ruffiano dire “antiaging”, oppure c’è qualcosa di vero?

Assolutamente, c’è tanto di vero. Questo è il motivo per cui sono andata a studiare a Boston, ad imparare la nutrizione antiaging. In Europa non esisteva una laurea specialistica in questo tipo di nutrizione. Io partivo dal mondo della diabetologia, però volevo fare in modo che questo progetto non fosse un progetto per soli diabetici, ma fosse un progetto per tutti. Che cosa interessa a tutti? Vivere a lungo e in salute, ovvero l’antiaging. Feci una ricerca e in Italia non trovai nulla, quindi iniziai a partecipare a tutti i congressi mondiali di nutrizione antiaging per ascoltare le ricerche scientifiche. In uno di questi congressi, conobbi l’italo americano Angelo Azzi, uno dei più grandi scienziati al mondo di nutrizione antiaging, che mi piacque tantissimo perché parlava di ricette. In questi grandi eventi in cui si parlava in un linguaggio difficilissimo, lui scendeva nel pratico. Lo approcciai ed egli mi invitò all’Università di Boston per scoprire l’importanza dei giusti abbinamenti e dei metodi di cottura per aumentare gli antiossidanti nei cibi. Lui mi aprì questo mondo e mi insegnò che gli antiossidanti più importanti non sono solo quelli dei cibi, ma sono anche quelli che il nostro corpo produce autonomamente. Il nostro corpo è il maggiore produttore di antiossidanti, ma deve avere un’alimentazione di un certo tipo per produrli. Un’alimentazione antiaging non è solo un’alimentazione ricca di antiossidanti, ma deve essere povera di zuccheri, di grassi e di sale. Questi ultimi impediscono al nostro corpo di produrre antiossidanti.

Mi pare che tu abbia costruito anche una propria immagine distinguibile, un medico con la casacca da chef è un po’ il simbolo della tua storia, del tuo percorso.

Esatto, proprio così.

In tempo di pandemia, ne hai approfittato per chiarire alcuni punti fondamentali. Ad esempio, hai parlato di alimenti che aumentano le difese immunitarie. Su questo, credo che valga la pena dire qualcosa. E’ vero che le cure e il vaccino sono fondamentali, ma le nostre difese immunitarie sono altrettanto importanti e dipendono dalla nostra alimentazione. La medicina tradizionale è troppo fanatica di farmacologia e poco attenta alla promozione di tutto ciò che riguarda i famosi rimedi naturali, come l’alimentazione, che viene talvolta snobbata, in qualche modo.

Riguardo ai metodi naturali, oggi c’è una scienza che sta scoprendo sempre di più che nel nostro corpo c’è un organo che è fondamentale per le difese immunitarie, per la cura dei tumori, per l’invecchiamento precoce: l’intestino. L’intestino viene chiamato “secondo cervello”, ha un nervo che collega direttamente l’intestino al cervello, per cui c’è un collegamento pazzesco. Tanto è vero che ci sono cibi che aumentano o riducono il rischio di Alzheimer. Riguardo le difese immunitarie, oggi è stato confermato che se noi nutriamo bene l’intestino, quest’ultimo ti ringrazia secernendo delle molecole, delle proteine antivirali. L’alimentazione non è solo un rimedio naturale della nonna, è proprio scientificamente provato che sia in grado di aumentare le difese immunitarie. Puntare solo sulle medicine è sbagliato. E’ come gli antiossidanti; posso assumere gli antiossidanti nel cibo oppure produrli io. Io mi posso mettere nel piatto il vaccino, però posso produrlo io. Se mi affido esternamente al vaccino e internamente faccio di tutto per distruggere le mie difese immunitarie, non va bene.

Quindi chiuderci in casa, rimpinzarci di carboidrati, senza praticare alcun movimento e non esponendoci alla luce del sole che aiuta a produrre vitamina D, è come “finire in bocca al nemico”.

Assumere, ad esempio, l’inulina che è una fibra prebiotica, ovvero in grado di migliorare la microflora intestinale e quindi aumentare le difese immunitarie, è davvero importante. Dal punto di vista delle difese immunitarie, fa meglio l’inulina rispetto alla crusca. E’ meglio mangiare una pasta bianca con l’inulina, piuttosto che mangiare una pasta integrale. E’ qualcosa che dobbiamo insegnare alle persone. Per carità, tra la pasta bianca normale e l’integrale, riconosco che sia già un passaggio positivo passare all’integrale. I carboidrati fanno male solo se hanno due caratteristiche: la prima è il fatto di avere troppi condimenti e troppi grassi, la seconda è la mancanza di fibre. Se il carboidrato è ricco di fibre ed è condito in mod equilibrato, a quel punto non fa male, anzi fa bene.

Io ti ringrazio, se volessi perdere dieci chili quasi tutti concentrati sulla pancia, dovrei venire a trovarti in studio.

Intanto ti consiglio la lettura del mio libro “Cucina Evolution”, in seguito puoi provare qualche piatto pronto sul sito “golosielongevi.it”!

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