Strano in inglese “successo” sia “fame” in italiano.
Ho combattuto con la fame per tutta la vita.
La fame fisica, quella di stomaco, per non ingrassare o dimagrire.
La fame d’amore, la fame di riposo (fisico, psicologico), la fame di coraggio e anche la fame di successo.
Avrei voluto sempre primeggiare, in tutto, per bellezza, intelligenza, simpatia, ricchezza.
Avrei voluto essere quella con più corteggiatori, quella più amata in famiglia, stimata nel lavoro.
Quella con l’idea più brillante, la soluzione per tutto…
Un po’ era di famiglia.
Mio nonno…i soldi…mio padre ci è rimasto in mezzo.
Uno psichiatra in una delle cliniche dove sono stata ricoverata per i miei disturbi alimentari ci parlava del fatto se fosse più importante fare o essere.
Essere famosi? Avere successo?
O e’ più importante quello che si fa indipendentemente da dove si arriva?
Farlo con gusto, passione, amore, presenza di spirito, corpo e mente.
Che poi quello che si fa diventa inevitabilmente ciò che si e’…
Il mio psichiatra di allora diceva insomma che era più importante non smettere di fare.
Quello era già un successo.
L’ho capito dopo.
Se si guarda troppo all’essere si toglie tempo all’azione, alla concentrazione su quello che si fa o si può e si potrebbe fare, inventare, pensare di fare di nuovo, diverso.
Ho capito che decidendo di fare più che di essere la mia “fame” esagerata diminuiva.
E a volte il mio successo, senza volerlo, aumentava. Senza cercarlo.
Ho capito che l’essenza dell’essere e’ il fare.
Senza pensare a dove si può arrivare ma solo a ciò che si sta facendo.
In quel momento e solo in quel momento si “e’ ” veramente, si ha successo, solo per il fatto che si è davvero.
Si e’ primi, per se’.
Nel fare, nel vivere.
Se facciamo contare il resto, e’ già fallimento.
E’ già fame.
Io allora voglio provare a fare.
Per essere, “prima” per me.
Chiara Domeniconi