MEGLIO NON CONTARE NIENTE



Stavamo meglio quando non sapevamo contare, quando non esisteva la matematica, quando nella caverna dove ci sta la paura ci vivevamo e dormivamo e crescevamo i nostri figli.
L’uomo non è cattivo ha solo paura.
Stavamo meglio quando le dita anziché aiutarci per le tabelline ci servivano per smembrare gli animali e non ci sentivamo cattivi a mangiare le loro carni, quando la fame non aveva un nome, un orario, pranzo e cena. Calorie e dieta, bilancia e palestra. Modelle, taglie e vestiti in cui entrare.
Stavamo meglio quando non potevamo contare i debiti, i crediti, i perdoni da condonare.
Quando il sonno era sonno, i figli figli, ne’ troppi ne’ pochi o nessuno, senza gare tra madre o padre, femmine e donne da realizzare.
Stavamo meglio quando non sapevamo contare quanti cuori avevamo per amare e quanti fegati per morire.
Quanti giorni ci potevano restare, quante albe, quante prede ancora da ammazzare.
Quanto sangue da vedere, quanti figli da veder morire, sfamare, quanto amare e odiare.
Vivere, senza sapere, di vivere.
Senza contare.
Senza contarci sopra, alla vita.
Senza contare su se stessi che non c’era forse ancora il concetto, di un se’.
E non c’era il contare, la matematica.
Le dita erano libere dai numeri, libere di fare, uccidere, portarsi alla bocca il cibo, la mano al petto, forse a una guancia ad accarezzare.
Senza contare cosa si dava, cosa si doveva avere.
Niente dare, niente avere.
Niente contare.
Tutti uomini.
Con fame da sfamare, sonno da dormire e mani per fare.
E poi la matematica, per contare le paure e la cattiveria.
E fare a gara a chi sa meglio amare e odiare.

di Chiara Domeniconi

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