La banalità del male

Hannah Arendt nata nel 1906 e morta nel 1975 fu una scrittrice e filosofa tedesca appartenente a una famiglia ebraica. Dovette abbandonare la Germania per motivi politici e si trasferì prima in Francia e poi negli Stati Uniti, dove lavorò in molte università. Nel 1925 diventa allieva del professore di filosofia Martin Heidegger, con cui inizierà una relazione.

La banalità del male è uno dei più famosi scritti della Arendt, ed è una riflessione sull’olocausto, incentrata e sviluppata sulla base del reportage sul processo a Adolf Eichmann, tenuto a Gerusalemme, sotto un tribunale israeliano.

Hannah Arendt non si limita solamente a riportare i fatti emersi all’interno del processo, ma amplia l’argomento a tutto il tema dell’olocausto.

Non è un libro che vuole soffermarsi semplicemente alla Germania nazista, ma cerca di considerare il ruolo di un uomo all’interno dell’organizzazione nazista dell’olocausto.

Durante il processo, al quale prese parte come inviata speciale del New Yorker, la Arendt si rese conto che l’uomo, è completamente privo di pensiero e di coscienza e si limita ad eseguire ordini ricevuti.

Alcune cause dell’antisemitismo sono state, l’assenza di scrupoli di coscienza e il meccanicismo nell’eseguire gli ordini. Proprio come se l’uomo fosse diventato una macchina in una fabbrica e purtroppo, quando si verificano tali condizioni, l’uomo diventa capace delle più disumane atrocità. A causa di queste sue riflessioni, la Arendt è stata criticata ed additata dal mondo ebraico, al quale ella stessa apparteneva, per aver sottovalutato il fenomeno nazista.

La responsabilità di Eichmann, colpevole di aver mandato gli ebrei nei campi di concentramento, fu in qualche modo tecnica e comando di altri, ma non per questo meno grave. Tuttavia, nel corso dell’interrogatoria al processo, l’ex gerarca afferma di aver esclusivamente eseguito degli ordini ricevuti, come se questo bastasse per essere scagionato.

La motivazione che da Hannah Arendt a tutto ciò, vale a dire la mancata assunzione di responsabilità e comprensione rispetto a questi crimini sono dovuti al fatto che i colpevoli di queste atrocità verso gli ebrei si fossero letteralmente privati di ogni pensiero e di coscienza inserendosi nel meccanismo nazista. Erano banali individui inseriti in questo meccanismo infernale, uomini presi per obbedire agli ordini senza doversi porre nessuna domanda e agire in modo coscienzioso o empatico.

Il nazismo aveva tolto ai tedeschi la capacità di pensare e di giudicare le proprie azioni potendo scegliere tra bene e male, infatti Eichamann altro non è che un uomo comune, mediocre e banale, incapace di pensare al valore morale degli atti commessi, facendo intendere che stava semplicemente obbedendo e lavorando.

Vi è qui la banalità del male, poiché sono individui banalmente comuni a poter compiere il male, infatti il nazismo non incarna il male in sé, ma il fatto di aver condotto uomini banali ad atrocità mostruose.

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